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la deportazione degli ebrei di Roma

 

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Perché la Chiesa di Francesco non può cedere alla logica della guerra di religione

da Huffington Post, del 27/07/2016
di Andrea Riccardi

Il terrorismo ha fatto un salto con l'attacco alla chiesa di Saint Etienne, nella periferia di Rouen. E' la prima volta, in Europa, che viene colpito un simbolo cristiano, una di quelle parrocchie storiche che, da secoli, segnano il territorio francese. E' colpita anche una comunità cattolica riunita in un giorno feriale a pregare. Non c'è rispetto nemmeno per la gente in preghiera, che ogni musulmano in genere guarda con deferenza. Si uccide un anziano sacerdote, Jacques Harmel, che celebrava la Messa. A ottantasei anni, sgozzato di fronte all'altare.

Forse per caso, ma ugualmente in modo significativo, i terroristi hanno ucciso un prete che viveva una grande apertura all'altro. Anche ai musulmani. Sembra che la parrocchia di Saint Etienne avesse donato il terreno su cui è stata costruita la moschea della zona. Inoltre il sacerdote era amico dell'imam della moschea e aveva formato con lui un comitato di dialogo. In padre Jacques viene aggredita la Chiesa di Francia, che non si è mai schierata per la crociata all'Islam, anche quando questa fosse possibile considerarla una risposta adeguata alla violenza, quasi una legittima difesa. E' una Chiesa che distingue tra le componenti estremiste e la maggioranza del mondo islamico. Chiaramente, i terroristi vogliono provocare la Chiesa per farla uscire dalla sua posizione in favore del "vivere insieme" ed entrare nella logica (mediatica soprattutto, ma non solo) della guerra di religione.

La Chiesa si è sempre rifiutata di benedire questa guerra. L'ha fatto fin dai tempi di Giovanni Paolo II, dopo l'11 settembre 2001. E oggi, con papa Francesco, quella posizione viene ribadita.

Forse non tutti i cattolici saranno d'accordo. Forse non lo saranno i cattolici populisti francesi o di destra. Ma anche nell'Est europeo, sempre tra cattolici, serpeggiano sentimenti di estraneità a una posizione giudicata troppo arrendevole, magari verso i rifugiati musulmani. Non si tratta solo di settori marginali della Chiesa, ma anche di vescovi e clero. Proprio viaggiando verso il più grande paese cattolico dell'Est, la Polonia, papa Francesco ha parlato del dramma di Saint Etienne. L'ha collegato al clima di guerra diffuso nel mondo: "Il mondo è in guerra, perché ha perso la pace" - ha detto. Non è la tesi di Hollande. Il quale afferma che la Francia è in guerra con l'ISIS e le sue propaggini terroristiche nel vecchio continente. Il papa ha detto: "C'è guerra d'interessi, c'è guerra per i soldi, c'è guerra per le risorse della natura, c'è guerra per il dominio dei popoli". Non ha accettato, nemmeno dopo la sfida di Saint Etienne, di benedire la guerra di religione. La religione può essere strumentalizzata come vediamo nel terrorismo islamista.

Non bisogna dimenticare il terreno di follia, di protesta, di malvagità, di distorsioni - purtroppo spesso di giovani - su cui prolifera l'ideologia totalitaria. Le religioni sono altra cosa per il papa, che ha detto: "Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra, la vogliono gli altri". Forse gli "altri" usano l'ideologia religiosa. Così papa Bergoglio rilancia la visione della preghiera interreligiosa per la pace d Assisi nel 1986, voluta da Giovanni Paolo II, di cui celebriamo i trent'anni: le religioni sono chiamate a comunicare un messaggio di pace, non più l'una contro l'altra, ma l'una accanto all'altra. Era quello che, a Saint Etienne, faceva padre Jacques Hamel.

Andrea Riccardi su Huffington Post

Tags: Papa Francesco, Vaticano

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