16 ottobre 1943

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la deportazione degli ebrei di Roma

 

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Il ricordo Solo 15 uomini e una donna tornarono dai campi

16 ottobre 1943, ore 5.30 rastrellamento al ghetto

I tormenti e i dubbi Potevano essere avvertiti gli ebrei romani delle intenzioni dei nazisti?

da Corriere della Sera, del 17/10/2011
di Sergio Leone

I fatti sono assai noti, li esporremo perciò sinteticamente per affrontare poi complesse questioni a quelli strettamente legate. Dopo la consegna dei 50 Kg di oro richiesta da Kappler il 28 Settembre, gli ebrei romani si ritenevano sicuri da ogni altra violenza o sopraffazione. Messa a punto l' organizzazione del blitz, previsto per il 16 ottobre di quel 1943, giunto il giorno stabilito, alle 5,30 del mattino, un folto numero di SS, (tra le 365 mobilitate per le operazioni in tutta la città) circondò il ghetto piombando nelle abitazioni degli ebrei, cacciandoli poi a forza nei camion. Negli altri quartieri di Roma le operazioni iniziarono verso le 9,30. Tutto si concluse intorno alle 14. Gli arrestati furono 1.268. I prigionieri furono portati nella Scuola Militare di via della Lungara dove trascorsero due giorni tra paura, speranze, illusioni. Un testimone diretto, allora bambino, Bruno Rusticali, di padre «ariano» ma di madre ebrea così ricorda quei drammatici avvenimenti. «Due SS piombarono nel nostro appartamento di piazza Vittorio mentre eravamo soli, noi tre fratelli. Caricati su un camion e raggiunti fortunosamente e fortunatamente da nostro padre venimmo scaricati alla Scuola Militare. Lì, con altri bambini, giocammo nel cortile. Verso sera un ufficiale delle SS ordinò a tutti di allinearsi al muro, secondo tre gruppi: ebrei, misti, "ariani". Al controllo, mio padre mostrò il suo documento comunicando all' ufficiale che noi eravamo suoi figli ovviamente senza documenti. Il militare, sospettoso, si avvicinò a noi e con la mano, alzandoci il mento, ci scrutò attentamente il viso e la capigliatura (per nostra fortuna eravamo tutti e tre biondi); convinto, esclamò: andate via. Così scampammo alla morte». Terminati i controlli vennero liberati 252 degli arrestati; ne rimasero 1016. La mattina del 18 ottobre, chiusi tutti in vagoni piombati, dalla stazione Tiburtina vennero diretti a Auschwitz. Giunti a destinazione, scelti per il lavoro 149 uomini e 47 donne, gli altri furono uccisi nelle camere a gas. Terminata la guerra tornarono solamente 15 uomini e una donna. Questi i fatti. In relazione ad essi si pongono, e non da oggi, due delicatissime questioni: perché i dirigenti dell' Unione e della Comunità Dante Almansi e Ugo Foà non ritennero di allertare gli ebrei romani sui pericoli che allora incombevano? Perché non vennero bruciate le liste degli iscritti alla Comunità e dei contribuenti? È certo, sostiene Anna Foa, studiosa di storia degli Ebrei «che i due dirigenti, visto il loro continuo contatto con la Delasem (organizzazione assistenza profughi), sapevano tutto, almeno nelle linee generali». In sostanza, secondo una pubblicazione dell' Archivio Storico della Comunità ebraica, essi rifiutarono di credere che i nazisti avrebbero osato di rinnovare lo scempio di cui erano già rimasti vittime gli ebrei in Europa. Sull' altra questione, quella delle liste e sulla loro effettiva utilizzazione da parte dei nazisti la polemica è stata aspra fin dal 1944: «Dopo la guerra Foà dapprima negò che queste schede fossero mai state sequestrate, poi negò che fossero comunque state utilizzate dai nazisti nella razzia, dal momento che essi possedevano quelle del ministero degli Interni»(Anna Foa). Resta dunque il dubbio: esse sono o no state utilizzate? Secondo un recente studio di G. Rigano il numero degli ebrei arrestati in base alle liste comunitarie (se utilizzate) sarebbe di 54 individui ovvero il 5,31% del totale. Ma le ricerche continuano.

Tags: Roma, shoah, memoria, Kappler, oro

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